Eracle al femminile, tradizione e attualità del Teatro Greco indaga la fragilità umana

L’ineluttabilità del destino, la volontà degli dei, cui nessuno può sottrarsi. Neanche uno come Eracle che alla fine compie un misfatto tremendo, sebbene ingannato dalle messaggere di Era, da un lato involontariamente.

Eracle era impegnato in una delle sue fatiche, quando Tebe venne usurpata da Lico. Tutto sembra perduto, la moglie Megara e i suoi figli sono minacciati di morte, così come l’anziano padre Anfitrione.

All’improvviso, fa ritorno Eracle che accecato dall’ira uccide Lico. Era, però, moglie di Zeus, che non nutre affatto simpatie verso Eracle, gli invia Iris, la sua messaggera e Lissa, che rappresenta la Rabbia, allo scopo di farlo completamente impazzire.

Così si compie la volontà di Era: credendo che i suoi figli fossero di Euristeo, che gli aveva imposto le celebri fatiche, Eracle li uccide senza pietà insieme alla moglie Megara, in preda al furore divino. Solo Anfitrione viene risparmiato, grazie all’intervento salvifico di Atena. Quando Eracle si risveglia, in preda all’amnesia, legato, comprende il misfatto e pensa al suicidio, ma l’amico Teseo riesce a persuaderlo che la sua più grande prova, dopo le numerose fatiche che aveva già affrontato, sarà quella di convivere con questo immenso dolore.

Da semidio a individuo fragile, inerme, soggetto alle passioni e agli istinti più biechi. Dal punto di vista del teatro e della rappresentazione, l’Eracle di Emma Dante, andato in scena fino a ieri per il 54° ciclo di rappresentazioni classiche al Teatro greco di Siracusa e allestito dalla Fondazione INDA, non è come tutte le altre. È una rivisitazione con un cast al femminile.

Ed è così che l’Eracle è interpretato da Maria Giulia Colace, Anfitrione da Serena Barone, che rimarca un accento siciliano anche con risvolti grotteschi, Megara dall’eterea Naike Anna Silipo, Lico da Patrizia Zanco. Le musiche sono composte da Serena Ganci e da Marta Cammuscio, mentre la traduzione è stata curata da Giorgio Ieranò. Ammaliante il coro, con il suo ritmo. Maestosa la scenografia, rievocativa in quelle foto appese alle pareti, come nelle case dei nostri avi.

Maestosi i piloni da cui si ergono delle croci in legno roteanti e maestose anche le vasche in cui gli attori, senza tergiversare, vi si immergono per conferire maggiore pathos ad alcune scene.

La regista ha pensato sicuramente a un gioco teatrale con nuove regole, facendo ricoprire a un cast al femminile tutti i ruoli senza distinzione di genere, così come i greci giocavano a interpretare le donne in scena. Stavolta è la donna a misurarsi con la leggenda.

La condizione umana in Euripide possiede una contemporaneità quasi sconcertante. Passione, violenza, odio, amore. La sua vicenda, sebbene declinata nel V secolo a.C., richiama drammaticamente quanto la cronaca dei giorni nostri ci riporta in un triste realismo.

Servizio di Giada Giaquinta

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