L’emigrazione oggi, un’emergenza per il Calatino

L’emigrazione è un problema o può essere una risorsa ?

Per il secondo appuntamento di ‘Viaggio intorno all’uomo’ (ciclo di conferenze mensili su temi di attualità organizzate dalle associazioni Avis, Benvenuti in Sicilia-arte e tradizione, Centro Culturale Siculo-Tedesco) al Museo del tombolo di Mirabella Imbaccari si è parlato dell’emigrazione oggi grazie alla presenza di due esperti, argomento che tocca da vicino la comunità mirabellese.

“Lo spopolamento è un fenomeno ciclico legato all’economia – ha detto il senatore M5S Fabrizio Trentacoste, membro di due commissioni parlamentari – ma nel meridione è un fenomeno strutturale che ha visto la nascita di importanti comunità di italiani del sud nell’Europa centrale, nell’Italia settentrionale, nell’America settentrionale e meridionale. Lo stato ha riconosciuto il voto degli italiani all’estero ma non è riuscito a contrastare questo fenomeno che non si è mai arrestato dagli anni 50 sino ad oggi. Abbiamo un’emigrazione di giovani laureati altamente istruiti che non tornano più, il fenomeno oggi riguarda interi nuclei familiari e i numeri sono crescenti. Nell’ultimo decennio 300.000 siciliani hanno lasciato la nostra regione (le città più interessate Palermo con 91.000 persone, Catania con 24.000 e Messina con 16.000). Abbiamo la scomparsa di giovani che dovrebbero essere le basi per una nuova società e le cause sono legate alla scarsa dinamicità del mercato occupazionale, scarse prospettive e il mancato raccordo tra il mondo della formazione universitaria e il mercato del lavoro.

Ciò provoca un calo demografico che si ripercuote sui servizi (vedasi i tagli della spesa sociale con i ridimensionamenti degli ospedali, l’accorpamento degli istituti scolastici), causando l’abbandono di professioni legate all’agricoltura, l’abbandono di luoghi sociali e centri urbani (ad esempio a Favara è evidente), col deprezzamento del patrimonio immobiliare e il problema dei servizi in rete (acqua ed elettricità), le cui spese fisse ricadranno sui residenti incidendo sulla fiscalità.

La politica di contrasto a tale fenomeno vede al primo posto la qualità della rete infrastrutturale (le strade), l’incremento dei posti di lavoro sostenendo l’impresa (ad esempio prevedere una fiscalità di vantaggio nelle zone franche montane), nuove prospettive di lavoro nella Sicilia interna grazie alle nuove tecnologie digitali. C’è una ritrovata attenzione per le aree interne grazie a contesti urbani e ambientali importanti ma bisogna fare di più a livello politico”.

Il secondo intervento è stato del sociologo Alfonso Gambacurta, un docente all’università di Roma e Messina che studia il fenomeno emigrazione dal 2009.

“L’emigrazione è un tema che nessun vuole affrontare perché è un problema ma viene affrontato male e oggi si parla di ‘migrazioni’ (emigrazione ed immigrazione)…il fenomeno viene studiato bene con la fondazione Migrantes della Chiesa e l’unico organismo che ne parla dal punto di vista scientifico è la Cei (Conferenza Episcopale Italiana), con il rapporto sugli Italiani nel mondo e il rapporto sulle immigrazioni. In Italia l’immigrazione viene gestita dal Ministero degli Interni, l’emigrazione la gestisce il Ministero degli Esteri ma non vengono considerati un problema sociale. Favara e Mirabella sono due casi importanti in Sicilia e la nostra regione ha il maggior numero di emigrati: su 5 milioni di abitanti abbiamo 785.000 iscritti all’Aire (anagrafe italiana residenti estero), un’incidenza del 15,8 % (dato fittizio perché riguarda solo quelli che si stabilizzano). Tra gli iscritti Aire non abbiamo quelli che si trasferiscono nel nord Italia per lavoro o studio. In passato la legge sul voto degli italiani all’estero è stata sostenuta dal senatore Mirko Tremaglia di Alleanza nazionale, unico partito ad attenzionare il problema. Il caso Favara fa scuola perché un terzo della popolazione non c’è (su 31.751 abitanti ha 10.400 iscritti Aire).

Mi spiace che stasera non ci sia il sindaco, oggi i sindaci si trovano un problema enorme che difficilmente risolvono ma potrebbero avere alcuni strumenti…Mirabella ha 4577 abitanti e 6469 iscritti Aire, il 141,3 %, un dato gigantesco superato nel centro Sicilia solo da Villarosa (143.3%). Questo è un dato di emergenza in assoluto ma ci sono paesi più piccoli con incidenza maggiore (Acquaviva Platani ha 918 abitanti e 2400 iscritti all’Aire (278%), il doppio di Mirabella. L’emigrazione è un’emergenza e gli ultimi dati Istat ci dicono che la Sicilia entro il 2030 perderà un milione di abitanti (da 5 a 4) e nel 2060 saremo 3 milioni e mezzo di abitanti. Il dato incredibile è sullo spopolamento e per la prima volta il fenomeno riguarda le città (Messina è la prima città europea per spopolamento, Palermo la quinta)…io vengo da Valguarnera e anche il mio paese, su 7424 residenti, ha il 103% di emigrati. Oltre alla partenza dei giovani, ci sono due fattori importanti: l’isola diventa vecchissima, abbiamo ‘l’anzianizzazione’ della popolazione e restano le 3 categorie percettrici di reddito (pensionati, statali e malavitosi) che creano emergenza nell’emergenza. Ad oggi la politica non ha messo in atto nessuna misura sullo spopolamento, ma ci possono essere delle misure di sostegno (in primo luogo la viabilità, la formazione dei giovani, l’imprenditorialità giovanile).

L’emigrazione è un fenomeno di necessità, dal dopoguerra si emigra perché non si ha lavoro. Per la prima volta in Sicilia noi ricercatori abbiamo notato un nuovo fenomeno: prima c’era l’emigrazione di ritorno (il progetto era quello di tornare una volta soddisfatta la necessità lavorativa, vivendo un periodo di nostalgia in attesa del ritorno per la costruzione della casa al pensionamento, mentre i paesi d’origine vivevano delle rimesse degli emigrati che alimentavano l’economia locale), oggi invece l’emigrazione dei giovani è desiderata, un fenomeno mai visto in Italia che non si trova in Europa. I giovani vogliono andare via perché vivono in una società di anziani che non guarda alle loro esigenze e non tornano più, un fenomeno che distrugge i contesti di emigrazione.

Il prof. Renato Cavallaro ha individuato alcuni forme di emigrazione di ritorno:
1) emigrazione di fallimento (la maggior parte degli emigrati è incapace di integrarsi nella società di arrivo, l’impatto costituisce un trauma molto forte per diversità di lingua, cultura e tradizione). Dall’esperienza nella nuova società è rimasto un senso di sofferenza frammista al ricordo delle grandi cose vissute nei paesi industrializzati, quindi arrivi, non riesci a integrarti, non fai nemmeno soldi e torni
– il fenomeno del fare soldi (l’emigrato siciliano che va all’estero deve fare soldi se no è un fallito; spesso i nostri emigrati che tornano al paese d’origine devono farsi vedere e, nonostante spesso siano in situazioni di degrado, dimostrare di avere soldi – ad esempio affitta una macchina nuova con sacrificio o offre da bere a tutti al bar. Si deve nascondere il fallimento dell’emigrazione quando non ci sono possibilità – ritorno di fallimento)
2) ritorno di conservazione (ciò che consente il superamento della prima fase è una forma di integrazione nella nuova società, però sono talmente legato al mio paese che conservo le tradizioni, mando i soldi e costruisco la casa)
3) ritorno di investimento (in questa fase gli emigrati italiani si trovano bene nella nuova società, hanno appreso dei modelli di vita soprattutto in campo lavorativo e quello che hanno guadagnato fuori serve ad aprire un’attività nel paese d’origine)
4) ritorno di pensionamento (finisce il mio progetto di vita, torno e mi godo la mia vita qui con quello che ho guadagnato – anche il ritorno di pensionamento è un ritorno di fallimento perché durante la mia vita fuori i figli si sono integrati, ho i nipoti e nel paese d’origine non posso più vivere perché sono solo. Se riporto qui i figli/nipoti, essi a loro volta vivranno il dramma dell’emigrazione e quindi sono costretto e ripartire per non restare solo).
5) ritorno di legame (chi decide di tornare all’estero perché ci sono figli e nipoti poi rientra nel paese d’origine per le vacanze, abitando nella casa dei nonni/genitori. Si va al paese per la festa patronale, perché ci sono parenti o perché piace tornare).

Oggi c’è il non ritorno e per noi è deleterio (vanno via i giovani migliori, non ci sono più i soldi e le rimesse che tornano). Altro fenomeno è l’emigrazione intellettuale (prima partivano solo le braccia levate all’agricoltura che andavano in miniera e nell’industria, oggi il giovane laureato si forma fuori – togliendo economia al paese – e, se non si realizza nel luogo di formazione, emigra all’estero per migliori prospettive di lavoro.

Sono rimasto molto colpito dal recente articolo di ‘Der Spiegel’ sulla comunità mirabellese a Sindelfingen perché si parla del 40% di case vuote in paese, gli emigrati non tornano più, le case si deprezzano e si vendono in maniera incredibile (anche nella mia Valguarnera è così). Si creano così delle identità sospese, fenomeno sociologico riscontrato anche tra gli emigrati in Francia, Inghilterra, Usa; io che emigro in Germania sono il forestiero, a Mirabella sono il ‘tedesco’, il forestiero che è andato via, quindi per queste persone c’è sempre un qua e là, Germania e Sicilia e spesso i siciliani che tornano a casa dall’estero si sentono stranieri, vengono accolti amorevolmente ma tuttavia non fanno più parte del contesto dal quale vengono. In Germania siamo stranieri e a Mirabella ? Non lo so…sono delle identità che si perdono.

La politica può valorizzare l’emigrazione (in Friuli c’è un bellissimo museo dell’emigrazione… l’emigrazione fa parte del tessuto etno-demo-antropologico, i mirabellesi potrebbero chiedere al comune di creare, con la Regione Sicilia, un museo dell’emigrazione siciliana che abbia sede a Mirabella. L’emigrazione da problema può diventare risorsa perché porta qui la gente a vedere i processi dell’emigrazione; create il gemellaggio e fate sì che il tedesco che viene qua in vacanza trovi una piccola Germania e possa sentirsi a casa perché i mirabellesi emigrati parlano bene il tedesco.
Queste sono piccole proposte che da subito possono contrastare l’emigrazione…se la politica e le realtà locali si incontrano con il mondo scientifico dell’università, anche noi possiamo dare qualcosa e restituire così un senso ai nostri studi”.

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