Il bullismo ai tempi di Facebook (e della quarantena)

Il bullismo ai tempi di Facebook (e della quarantena) è una forma di violenza persistente nella società che è sempre esistita.

Il Bullismo. Una forma di violenza persistente nella società e che è sempre esistita, fin dall’alba dei tempi, ma che nella società moderna e con dall’avvento dei social network ha preso sempre più piede. La motivazione? La prevaricazione sociale e la scalata gerarchica all’interno della società.

Chi applica il bullismo, lo fa peri sfogare un proprio senso di inferiorità nei confronti di qualcuno di cui non approva idee o stili di vita, al punto da non riuscire a sostenere un confronto civile ed equilibrato oppure per invidia verso una persona che ha raggiunto una posizione sociale elevata; per esempio gli “Haters”, che attaccano le celebrità sui loro profili. Molte forme di bullismo si conoscono certamente tra i banchi di scuola oppure negli ambienti ludici, possono avvenire per abbigliamento, difetti estetici, estrazione sociale, in gran parte invidia per i successi altrui.

Prendiamo per esempio lo studente diligente tormentato dai compagni con la sola colpa di avere voti migliori, di non essere conforme al gruppo dei “minus”, oppure la ragazza che soffre di sovrappeso derisa per i suoi difetti fisici, ma anche il ragazzo che non può permettersi abiti di marca o il telefonino di ultima generazione. Questi atteggiamenti se non opportunamente fermati, possono avere impatti devastanti sulla vita futura della persona presa di mira. I danni possono essere permanenti sulla psiche e anche sulla salute fisica del soggetto anche per tutto il resto della vita ed essere trasmessi anche a eventuali congiunti e discendenti.

Ad esempio una ragazza in sovrappeso che subisce bullismo potrebbe sviluppare intenti suicidi, oppure divenire anoressica. Un ragazzo studioso divenire una persona estremamente paurosa o reagire al contrario con estrema violenza, tramutando a sua volta in un “bullo” per difesa. Un ragazzo povero potrebbe trovarsi a spacciare o rubare per ottenere gli oggetti che lo possano conformare al gruppo. 

L’avvento di internet ha rivoluzionato le nostre vite e il nostro approccio sociale con le altre persone; prima le nostre conoscenze erano limitate a una ristretta cerchia che poteva limitarsi agli abitanti del proprio paese o del quartiere. L’espansione sociale che ha fornito la rete internet ha permesso di allargare questa cerchia in altri paesi o nel resto della città, in alcuni casi a livello nazionale/internazionale. Per alcune persone è diventato fondamentale “apparire”, sfoggiare il proprio ego e ricevere consensi. Facebook, Instangram, Tik Tok e ancora prima Netlog, Badoo, sono stati o sono i social network dove ha preso piede questa interazione sociale.

Gradualmente il bullismo ha preso piede anche in queste realtà virtuali; se prima infatti l’uso del computer e della rete erano riservati a pochi eletti, esperti di informatica e generalmente persone socialmente stabili, con il progresso tecnologico anche internet è stato invaso dai barbari. Inizialmente i “Minus” si sono riversati su chat come IRCnet, dove era ancora abbastanza facile controllare il fenomeno del bullismo, perché c’era una sorta di anonimato, grazie all’uso dei nickname e all’impossibilità di pubblicare fotografie, che al massimo potevano essere condivise in privato con gli altri utenti, con scaricamenti molto lenti che ne limitavano anche la diffusione.

Se si subiva del bullismo era facile replicare e difficile essere attaccati, poiché l’anonimato garantiva una difesa da insulti che potessero cogliere le debolezze altrui. La scalata dei consensi iniziò con i primi social network, permettevano di creare album e sponsorizzare a pagamento le proprie fotografie. Anche in quel caso era tollerato l’anonimato, l’uso di nickname o soprannomi. Facebook tuttavia, rivoluzionò il concetto di anonimato assegnando un servizio identitario utile, ma anche infervorando l’ego dei social – dipendenti, che ora avevano possibilità di divenire famosi con la piattaforma.

Non esisteva più l’anonimato, ma rimase “l’impunità”.Gli utenti abituati ad anni di eccessi ed insulti reciproci, riversarono la propria cattiveria amplificata dal fatto che ora potevano colpire le persone approfittando dei profili identitari. La persona colpita se conosciuta, non poteva più fingere doti innate, non poteva più elevarsi socialmente se aveva una cattiva reputazione fuori dalla rete, nella vita reale. Inoltre, potevano essere derisi gli utenti per difetti fisici, estrazione sociale, così come avveniva sui banchi di scuola, ma in maniera molto amplificata, colpendo indistintamente giovani ed adulti.

Per i giovani all’inizio della loro vita è molto difficile affrontare l’esclusione sociale, ma per gli adulti che vi sono già inseriti è drammatico essere espulsi, probabilmente senza possibilità di ritorno. Prendiamo ad esempio Tiziana Cantone, una ragazza adulta, che si è suicidata a seguito della diffusione di un video che la ritraeva mentre compiva atti sessuali. Nonostante la rimozione dalla rete del video, nonostante la condanna delle persone che lo avevano divulgato, Tiziana non è mai riuscita a reinserirsi nella società, anche perché il suo volto era ormai conosciuto in tutta Italia e persino all’estero. La ragazza al culmine della disperazione, degli insulti ricevuti per strada, alla fine si tolse la vita.

Ogni scusa è buona per attaccare qualcuno e sfogare la violenza primordiale che alberga nei “Minus”, religione, politica, senso di inferiorità, che li porta persino a contestare violentemente i giornalisti, rei soltanto di diffondere le notizie. Sciacalli, giornalai, pennivendoli, terroristi; questi sono solo alcuni degli epipeti più gentili che vengono riservati alla categoria da parte dei “Minus”, che frustrati dal fatto di poter sfogare il proprio ego solamente sui social, cercano una “scalata gerarchica”, cercando di ottenere consensi sulla pelle di persone preparate professionalmente anche grazie a un tirocinio che dura due anni.

Spesso i giornalisti sono anche laureandi e specializzati, qualche mela marcia c’è, come in tutte le categorie, ma non si può fare di tutta l’erba un fascio. Ormai è dimostrato che su qualsiasi articolo pubblicato, ci sono commenti di consenso e di critica, come giusto che sia, ma c’è sempre almeno una espressione violenta da parte di qualche “Minus” che tenta di prevaricare sulla credibilità del giornalista utilizzando un linguaggio volgare, aggressivo e minatorio.

Specialmente durante questa quarantena, in cui le persone hanno accumulato una maggiore dose di stress, in cui sono più connesse di prima sui social network, abbiamo notato un incremento delle aggressioni verbali, che spesso sfociano in vere e proprie minacce dirette, verso giornalisti che stanno semplicemente esercitando la propria professione, riportando fatti documentati e non essendo certo la causa del male descritto negli articoli. Secondo l’indice della Libertà di Stampa nel Mondo del 2019, l’Italia sarebbe solo al 43° posto, superata persino da alcuni paesi africani, con un probabile peggioramento che potremo constatare nel 2020. Le ragioni sono da addursi a pressioni politiche, minacce e intimidazioni alla persona, ma anche “querele temerarie”.

Il giornalista oltre alle classiche minacce del ti prendo sotto casa, deve anche subire la ritorsione di denunce che spessissimo sono infondate e servono a danneggiare il cronista. Sono pochissimi i casi in Italia di giornalisti condannati per diffamazione ad esempio. I giornalisti infatti, sapendo il rischio che corrono stanno molto attenti a quello che scrivono, prendendo le notizie da fonti sicure. Purtroppo però la querela temeraria se sporta da un soggetto nullatenente, che non ha quindi nulla da perdere, implica costosi procedimenti processuali per il giornalista, che una volta assolto non potrà essere risarcito. 

L’errore più grande che si fa quando si subisce un atto di bullismo è di replicare, di cercare una difesa. Questo porta a un incremento della violenza del prevaricatore, che cercherà alleati tra altri bulli, per annichilire la volontà della sua vittima. Se si subisce una violenza verbale sulla rete è sempre meglio ignorare, bloccare la persona e segnalare al social network il suo comportamento, nella maggior parte dei casi così agendo, forse si otterrà una piccola sconfitta morale per non aver risposto alla provocazione, ma si limiterà l’espansione della violenza. Nel caso l’aggressione diventasse fisica, ovviamente non bisogna subire e lasciarsi intimidire, ma la cosa migliore da fare è rivolgersi sempre alle forze dell’ordine, ai centri di ascolto e a tutti coloro che si stanno battendo per debellare questo brutto fenomeno, che prima o poi vedrà la vittoria pacifica di persone illuminate sul bullismo dei “Minus”.

Articolo di Federico Digiorgio

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