Dopo decenni di ipotesi, uno studio condotto da ricercatori dell’INGV fornisce le prove dell’origine geologica dei Monti Peloritani in Sicilia, individuando con analisi paleomagnetiche la loro provenienza “iberica”
È quanto emerge dallo studio realizzato da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), recentemente pubblicato sulla rivista Tectonics.
Tra 150 e 120 milioni di anni fa, un grande blocco crostale identificato come Placca “Greater Iberia” si è distaccato dall’Europa per poi frammentarsi, circa 30 milioni di anni fa, in una placca maggiore (“Iberia”) e in numerose microplacche che, nel tempo, hanno migrato verso Est per 500 km (costituendo le attuali Corsica e Sardegna) e 1000 km (gli odierni Monti Peloritani e la Calabria).
Il cosiddetto Blocco Calabro-Peloritano si estende tra i Monti Nebrodi e i Monti Peloritani della Sicilia nord-orientale e l’area calabrese a sud del Massiccio del Pollino. La frammentazione e la migrazione verso est della Microplacca Sardo-Corsa, dei Blocchi Kabili e, in seguito, del Blocco Calabro-Peloritano sarebbero avvenute durante l’apertura dei nuovi bacini oceanici liguro-provenzale, avvenuta tra 30 e 15 milioni di anni fa, e tirrenico, tra 10 e 2 milioni di anni fa, in maniera sincrona alla formazione delle catene appenninica e siciliana.
I dati geologici di questa ricerca mostrano che il Blocco Peloritano fu incorporato nella catena montuosa siciliana tra 18 e 17 milioni di anni fa. I dati paleomagnetici, a loro volta, mostrano che la rotazione totale post-oligocenica del Blocco è pari a 130° orari, esattamente sovrapponibile a quella già ampiamente documentata nella Sicilia centro-occidentale e legata alla strutturazione della catena siciliana stessa e all’apertura del Mar Tirreno. Questa rotazione oraria è, però, del tutto diversa rispetto a quella antioraria, di circa 140°, già documentata due anni fa su sedimenti affioranti nella Sila orientale.