Denuncia commesse “coraggio” Etnapolis: “Tornavamo parte stipendio”

Minacciavano le commesse in prova o quelle in regola di licenziarle se non restituivano parte dello stipendio. Succede alle commesse dell’Etnapolis.

La Cassazione ha confermato la condanna per estorsione nei confronti di due imprenditori che avevano punti vendita di marchi affermati e che con il ricatto occupazionale avevano costretto cinque commesse a restituire loro tutti i mesi somme che andavano dai 300 ai 500 euro.

Come riporta LaSicilia: «In Cassazione i due imputati si sono difesi sostenendo che la crisi li aveva costretti a tal punto e se avessero pagato per intero le retribuzioni la loro attività economica ne avrebbe risentito fino ad arrivare alla chiusura con danno sia dei lavoratori sia per loro stessi “che avrebbero perso, a loro volta, il lavoro e quell’attività economica che anche la Costituzione protegge e tutela”.

Ma gli ermellini hanno escluso che la “libertà morale” delle persone o meglio “l’autodeterminazione” possa essere “sacrificata” per “salvare una attività economica” tanto più che la stessa Costituzione, con l’art. 41, impone che l’impresa “non può svolgersi in modo da recare danno alla libertà e alla dignità umana”.

I supremi giudici inoltre ricordano che qualora “davvero gli imputati non avessero avuto altra alternativa che sottopagare le dipendenti” avrebbero potuto ricorrere “alla luce del sole a tutti quegli accordi (compresa la riduzione salariale) che lo stato di crisi autorizza e legittima”.

La vertenza di lavoro delle cinque lavoratrici che hanno avuto il coraggio di denunciare è stata risolta con accordi sindacali e la Cassazione – nel verdetto 7304 depositato oggi – ricorda che altri dipendenti dei Giunta avevano invece negato “di essere stati costretti dagli imputati a restituire parte della loro retribuzione”.

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