
Perché parlare di Val di Noto Ovest o di Oltresalso è importante per Caltagirone e il suo (reale) comprensorio.
Di Giuseppe Di Gregorio
È da diversi anni – forse da decenni, da quando seppi che Gela indisse il referendum per entrare a Catania nel 2014 – che la questione calatina mi riecheggia in testa: la città e gli altri comuni vicini stanno vivendo uno dei peggiori momenti storici di sempre, caratterizzato soprattutto da tre bestie al momento insormontabili: la perifericità, l’irrilevanza e l’aridità, che a sua volta hanno generato e stanno generando altri mostriciattoli che non ci stanno dando pace nella quotidianità.
Come qualcuno potrebbe far notare, questo non è un fenomeno esclusivo nostro, ed effettivamente gli esempi si sprecano, ma personalmente non vedrei questo come a un minus rispetto al nostro problema, semmai lo vedo come un punto di forza, perché vuol dire che noi non siamo soli, che ciò che noi viviamo non è un’anomalia del sistema, semmai una normalità «istituzionalizzata» di tutta la Sicilia «interna e profonda».
Credo sia chiaro a tutti noi che, da diverso tempo, la nostra realtà cozzi con quella del nostro capoluogo Catania, che giustamente punta ad essere una metropoli del Mediterraneo (e di cui personalmente sono un grandissimo sostenitore). Un po’ meno chiaro è stato, forse per convenienza, che quella nostra non si sposi perfettamente con quella del Sud Simeto, territorio storicamente legato a Caltagirone sin dai tempi della Costituzione siciliana del 1812, ma che nel suo profondo non ne ha mai realmente fatto parte (o almeno nella sua totalità): da qui si spiega – personalmente con poco stupore – perché decenni fa comuni come Militello e Scordia hanno posto veto alla costituzione di un’ipotetica provincia regionale calatina, o anche i dubbi di realtà come Palagonia e Ramacca, comunque a noi vicine.

Guardandomi intorno – sia geograficamente, sia temporalmente – credo che Silvio Milazzo a suo tempo ci avesse visto lungo nel pensare a un territorio amministrativamente unito con Gela e i suoi comuni (che un tempo erano parte della diocesi della nostra città): volendo fare una retrospettiva storica, questa realtà ha avuto e ha ancora a che fare con noi, basti pensare a Niscemi (non c’è bisogno che porti esempi), a Mazzarino (città legata a doppio filo con Grammichele, essendo entrambe città del Carafa), a Butera (il più grande poeta buterese, Fortunato Pasqualino, è legato anche alla nostra città), addirittura a Riesi. Ma penso anche a Piazza Armerina e ai comuni ad essa vicini, che tanto hanno a che fare con la parte occidentale del territorio Calatino, Caltagirone inclusa.
La mia non è e non vuole essere una proposta di mera integrazione frigida e asettica, semmai vuole porsi il fine di sigillare una comunione territoriale, culturale e sociale che affonda le sue radici nella storia, come ricorda spesso un ex assessore della città di Gela, tale Francesco Salinitro. È l’idea di dare finalmente un’unità (e di conseguenza uno sviluppo generale, coerente e armonico) alla parte occidentale del vecchio Val di Noto, delle terre al di là del fiume Salso, sfilacciate ma non sfaldate da secoli di divisione amministrativa.
Penso che, oltre ad essere una missione di interesse locale, quella del Val di Noto occidentale sia anche e soprattutto una missione che veda a un generale riassestamento dell’intera isola, che dovrà finalmente rivedere quei confini che, escluse le istituzioni “recenti” delle province di Enna e Ragusa, sono poco più vecchie della disfatta napoleonica a Waterloo. Perché purtroppo, almeno qua in Sicilia, i confini non sono un dettaglio, specie se queste portano voti o debbano pianificare lo sviluppo economico, culturale e sociale della nostra Sicilia.